
Finché hai fame
"Non tutta la fame si sente nello stomaco.
C’è una fame che vive più a fondo — nel cuore.
È una fame di sguardi buoni,
di silenzi che non fanno male,
di mani che restano.
Imparare a donare.
Imparare a ricevere.
Questo è il tempo del cuore."
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C’era una volta una donna.
Si chiamava Sem.
Camminava da giorni.
Aveva fame.
Ma non di pane.
Fame di pace.
Di occhi gentili.
Di casa.
E dietro di lei…
camminava un Drago.
Grande. Silenzioso.
Senza nome.
Perché i nomi sono per chi vuole farsi chiamare.
Sem e il Drago arrivarono alla fine del mondo.
O almeno… così sembrava.
Un villaggio dimenticato.
Poche case. Poca terra.
Poca gioia.
“Chiediamo solo un posto,” disse Sem.
E nessuno disse no.
Ma nessuno disse sì.
Trovarono una casa mezza crollata,
al margine del bosco.
E si sistemarono lì.
Come si fa con le cicatrici:
piano piano,
senza aspettative.
Sem scavava la terra.
Cucinava.
Faceva il pane, tagliava radici, accendeva il fuoco.
Ogni giorno preparava da mangiare.
E ogni giorno lo offriva al Drago.
Ma il Drago scuoteva il muso.
“Non ho fame,” diceva.
E lei non insisteva.
Gli accarezzava il collo.
E diceva:
“Allora… aspetto.”
Un giorno arrivò una ragazza.
Si chiamava Ila.
Aveva le mani piene di tagli
e il cuore pieno di crepe.
Poi venne Aro,
un vecchio che non parlava più.
Aveva perso le parole con sua moglie.
Poi arrivò Milo,
un bambino che urlava invece di piangere.
Sem li accolse tutti.
Li fece sedere.
Servì da mangiare.
Non fece domande.
Disse solo:
“Qui puoi restare.
Finché hai fame.”
E la casa si riempì.
Di passi leggeri.
Di cucchiai contro le scodelle.
Di voci basse,
poi più forti.
Di silenzi che non facevano più paura.
Solo il Drago restava vuoto.
Ogni giorno più magro.
Ogni giorno più spento.
Poi, una notte…
Sem cadde nella neve.
Stanca.
Vuota.
Spezzata dal troppo dare
e dal poco ricevere.
La trovarono distesa.
Occhi chiusi.
Pelle bianca come farina.
Fredda come terra.
Il Drago si avvicinò.
La guardò.
E sentì qualcosa stringergli il petto.
Non era fame.
Era vergogna.
Era amore.
Fece allora l’unica cosa
che non aveva mai fatto.
Mangiò.
Non per sé.
Per lei.
Mangiò la zuppa. Il pane duro.
Le erbe amare.
Ogni cosa che lei aveva preparato,
giorno dopo giorno,
con mani stanche
e cuore aperto.
E Sem si svegliò.
Aprì gli occhi.
Vide il fuoco.
Vide il Drago.
Vide che le sue squame brillavano.
“Perché adesso?”
chiese con voce lieve.
Il Drago chinò il capo.
E disse soltanto:
“Perché anche chi ama…
deve imparare a ricevere.”
Da quel giorno,
nessuno alla casa del bosco
rimase mai più affamato.
Perché tutti avevano capito:
Volersi bene
non è solo dare.
È anche sedersi.
Aprire le mani.
E dire:
“Anch’io ho bisogno.”
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Per chi legge...
A chi ha dato tanto,
e si è dimenticato di chiedere.
A chi ha fame di silenzi gentili
e abbracci che non chiedono spiegazioni.
A chi porta dentro un drago — o forse lo è.
A chi ha paura di pesare,
ma ogni giorno tiene in piedi il mondo degli altri.
Questa storia è per te.
Per ricordarti che non si ama solo dando,
ma anche lasciando che qualcuno resti,
quando sei tu ad aver bisogno.
Perché nessuno guarisce da solo.
E l’amore vero
non si misura in sacrifici,
ma in mani che si tendono — in entrambe le direzioni.
Con cura,
per chi ha fame
e per chi impara, piano piano,
a sedersi a tavola.