Rufus il Tasso Stonato (e Felice).

Rufus il Tasso Stonato (e Felice).

Nella radura oltre il grande lago del Nord, tra alberi antichi e cespugli pieni di more, viveva Rufus, un tasso dalla pancia morbida e dal cuore gentile.

Era conosciuto da tutti perché portava more a chiunque avesse fame e perché cantava. Sempre. Ovunque. E malissimo.

Ogni mattina, Rufus si svegliava felice, si stiracchiava come un bradipo in vacanza e… apriva il becco. Sì, lo faceva apposta, anche se non aveva un becco. Diceva che così la voce usciva meglio. E intonava la sua personalissima canzone, che lui chiamava con grande orgoglio “La Grande Canzone del Bosco”.

Ma quella canzone — diciamolo — era un vero disastro. Sembrava il suono di un ombrello rotto in una tempesta, mescolato al verso di un cervo che inciampa, con sottofondo di casseruola che cade dalle scale.

«Mmm-HMMMM! LAAAAaaaAAAaaa-la-la-LAAAAH!»

Appena cominciava, gli scoiattoli cadevano dalle querce. I cervi infilavano cuffie di muschio. I ricci si chiudevano a riccio (letteralmente). Gli orsi… fingevano il letargo, anche ad agosto.

Ma nessuno diceva nulla. Perché Rufus era buono. Sempre pronto ad aiutare. E poi, si sa… certe verità fanno più paura di un ruggito di lupo.

Un giorno, mentre Rufus cantava come se dovesse far sbocciare i fiori con la voce (che però si appassivano), Sem e il suo drago passarono per caso.

Sem si fermò. Ascoltava, incuriosita. Il drago invece si irrigidì, allargò le narici e piegò le orecchie. Poi guardò Sem e mormorò con gli occhi: «È un attacco sonoro?»

Rufus li vide e si illuminò. Fece un inchino, inciampò in una radice, si rialzò e disse: «Benvenuti! Io sono Rufus, il Tasso Cantautore! Vuoi una serenata? Ce l’ho anche in versione invernale!»

Sem sorrise. «Solo se… il bosco è d’accordo.»

Il drago tossicchiò. Un pettirosso svenne in volo.

Sem si avvicinò e, con la voce calma di chi sa parlare anche ai sassi, gli disse: «Rufus… sai che la tua voce è… molto speciale, vero?»

Rufus gonfiò il petto. «Lo so! È unica! Irripetibile! Una melodia della natura!»

«Oh, su questo non ci piove,» disse Sem, nascondendo una risatina. «Ma… hai mai pensato di usarla per fare altro? Per far ridere, ad esempio? O per raccontare storie divertenti?»

Rufus si grattò la testa. «Mh. Non ci ho mai pensato. Ma io AMO far ridere. Mi piace vedere le pance tremare dalle risate!»

Sem annuì. «Allora perché non provi? Magari… invece di cantare canzoni normali… potresti cantare canzoni buffe! O fare spettacoli! O raccontare storie tutte storte ma bellissime!»

Il drago, che fino a quel momento si era tenuto a distanza, annuì anche lui. Poi si avvicinò a Rufus, gli posò il muso sulla fronte e disse con la sua voce profonda e gentile: «Essere speciali non vuol dire essere perfetti. Vuol dire fare le cose con il cuore. E tu, Rufus, ne hai tanto.»

Da quel giorno, Rufus smise di cantare all’alba (per la gioia generale), ma cominciò a raccontare storie, a inventare scenette buffe, a fare spettacoli teatrali con finali stonati e meravigliosi.

E indovina? Gli animali tornavano per ascoltarlo. Ridevano, applaudivano, si abbracciavano.

E alla fine, Rufus cantava comunque. Una nota sola, lunga e stonatissima. Ma ora, tutti ridevano. Perché quella stonatura era un regalo. Era voluta, era felice, era vera.

Morale:

A volte siamo stonati, goffi o un po’ strani. Ma se impariamo a ridere di noi stessi, a usare i nostri difetti con amore, nessuno potrà mai spegnere la nostra melodia… neanche se è tutta sbagliata.

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